Scuola e discriminazioni: l’ora di religione, il credito scolastico e le polemiche
Pubblicato da lorenzo in News, Scuola
A scuola ormai è tempo di scrutini e nessuno si aspettava questa novità: nei crediti degli studenti rientrerà l’ora di religione.
Così ha deciso il Consiglio di Stato che dà ragione alla Gelmini (che si è dichiarata soddisfatta) ribaltando, di fatto, una precedente sentenza del Tar (il Tar del Lazio aveva fermato le ordinanze emanate dall’ex ministro – di centrosinistra – Giuseppe Fioroni dove veniva ribadito come la religione cattolica contribuisca all’accumulo dei crediti per gli studenti nell’ultimo triennio in vista della maturità).
LA DECISIONE DEL CONSIGLIO DI STATO
Il Consiglio di Stato ha quindi “riconosciuto la legittimità delle ordinanze nelle quali si stabiliva che ai fini dell’attribuzione del credito scolastico, determinato dalla media dei voti riportata dall’alunno, occorreva tener conto anche del giudizio espresso dal docente di religione“.
LA PRECEDENTE SENTENZA DEL TAR
La sentenza del Tar, che accoglieva i ricorsi di diverse associazioni, definiva illegittimo includere fra le materie che concorrono al voto finale anche la religione visto che “lo Stato italiano non assicura la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni o per chi dichiara di non professare alcuna religione, in etica morale pubblica”.
IL RICORSO DELLA GELMINI
Contro la decisione del Tar il Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato, in barba al fatto che in uno Stato (che dovrebbe essere) laico tutti i cittadini, cattolici e non cattolici, devono avere uguali diritti.
PERCHE’ E’ UNA DECISIONE DISCRIMINATORIA E INGIUSTA?
Quindi coloro che non seguono le lezioni di religione (cattolica) non potranno avere il relativo credito, stabilendo una discriminazione per quanti non possono seguire le lezioni che riguardano il proprio credo e non possono svolgere altri corsi alternativi (come previsto dalla legge) perché, semplicemente, non esistono: le scuole non hanno i fondi per istituire questi corsi (e ricordiamo che a tagliare i fondi delle scuole ha contribuito negli ultimi tempi la stessa Gelmini).
Secondo me non c’è nessuna discriminazione ed è una vuota polemica strumentale. Non c’è alcuna ingiustizia (e lo dico da docente) visto che “ai fini dell’attribuzione del credito scolastico”, questo è “determinato dalla media dei voti riportata dall’alunno” è ovvio che se l’alunno fa anche religione: “occorreva tener conto anche del giudizio espresso dal docente di religione” chi non la fa avrà la media delle altre materie divisa per il coefficiente delle materie che svolge. È una questione di matematica limpidezza che offuscata dall’ideologia viene descritta come ingiustizia… peccato.
pur rispettando il sentire religioso delle persone ritengo che 1)la religione cattolica, come materia, non dovrebbe entrare nel curriculum scolastico; 2) se nel curriculum, non dovrebbe rientrare nella media delle valutazioni poichè chi non si avvale può essere semplicemente di altro credo diverso da quello cattolico (Geova e quant’altro: bel rispetto che hanno i cattolici delle altre religioni!!!)); 3) sono insegnante e non ho mai visto dare voti di religione più bassi della sufficienza, rarissime pure queste: perciò è sempre un voto che alza la media!!!
Io lavoro nella scuola e dico che a quello detto sopra si aggiunge il fatto che gli insegnanti di religione, che hanno quel posto con il benestare delle gerarchie ecclesiastiche (anche se lo stipendio gli e lo paga lo stato), hanno ottenuto il posto di ruolo negli ultimi tre anni grazie a dei concorsi “speciali” ed hanno una serie di privilegi che i loro colleghi, i normali docenti, non hanno.
E tutto questo mentre il governo sta tagliando 140 posti di lavoro nella scuola, e ci sono precari che aspettano in fila da anni.
Per una corretta interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 7324 del 7 Maggio scorso, credo sia necessario, come affermato dal Consiglio, rifarsi alla giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. n.203/1989 e n.13/1991), che ha più volte affermato che l’insegnamento della religione cattolica è legittimato nelle scuole della Repubblica Italiana a seguito delle nuove norme dichiarate all’art.9, numero 2 della legge 121/1985. Tale giurisprudenza, in sintesi, dichiara che l’insegnamento della religione cattolica è rispettoso della laicità dello Stato e che la disciplina ha una sua valenza curricolare importante e in questa logica, la nuova sentenza del Consiglio di Stato, afferma che tale insegnamento è facoltativo nella scelta, ma obbligatorio nella sua collocazione curriculare. In pratica, l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo di frequentare l’insegnamento della religione: “Nasce cioè l’obbligo scolastico di seguirlo, ed è allora ragionevole che il titolare di quell’insegnamento (…) possa partecipare alla valutazione sull’adempimento scolastico”. Perché questa sentenza? In occasione degli esami di Stato del 2007 e 2008, Giuseppe Fioroni, allora Ministro della Pubblica Istruzione, emanava due ordinanze che introducevano la valutazione ai fini del credito scolastico della frequenza di religione cattolica rispetto all’alunno non avvalentesi che sceglieva o lo studio individuale o l’allontanamento dalla scuola nell’ora di religione. Aveva tuttavia attribuito il medesimo trattamento per lo studente che sceglieva l’attività alternativa. Al ricorso presentato da alcuni studenti con l’appoggio di diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, il TAR annullava le ordinanze affermando che “l’attribuzione di un credito formativo a una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo a una precisa forma di discriminazione, poiché lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica” e che “sul piano giuridico, un insegnamento di carattere etico e religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”. Per il TAR, perciò, l’insegnamento della religione cattolica deve essere escluso dalla valutazione del credito scolastico. Per la verità, la decisione del Tar che, a prima lettura, sembrava interpretasse e applicasse correttamente il principio di laicità affermato dalla nostra Costituzione nella sentenza 203/1989, lasciava qualche dubbio. Ferma restando la libertà di scelta dell’insegnamento, dove sarebbe la discriminazione? Perché non riconoscere e valutare un lavoro fatto dagli studenti? Non valutando, non verrebbe meno il principio della valutazione di tutta l’attività scolastica svolta da ogni studente e il suo il diritto a vedersi riconosciuta la valutazione dell’insegnamento della religione liberamente scelto nell’esercizio di un diritto costituzionale? Il Consiglio di Stato,con la sentenza n.7324 del 7 maggio scorso, accogliendo il ricorso presentato dal Ministero della Pubblica Istruzione, annullando la sentenza del TAR ha affermato: “Chi segue religione (o l’insegnamento alternativo) non è avvantaggiato né discriminato: è semplicemente valutato per come si comporta, per l’interesse che mostra e il profitto che consegue anche nell’ora di religione (o del corso alternativo). Chi non segue religione né il corso alternativo, ugualmente, non è discriminato né favorito: semplicemente non è valutato nei suoi confronti un momento della vita scolastica cui non ha partecipato, ferma rimanendo la possibilità di beneficiare del punto ulteriore nell’ambito della banda di oscillazione alla stregua degli altri elementi valutabili a suo favore” . Il Consiglio di Stato, però, non si limita a dichiarare il principio della non discriminazione e della legittimità/obbligatorietà della valutazione, ma afferma con forza che l’istituzione in ogni scuola dell’attività alternativa “deve considerarsi obbligatoria per la scuola” perché “la mancata attivazione dell’insegnamento alternativo può incidere sulla libertà religiosa dello studente o della famiglia. La mancata attivazione dell’insegnamento alternativo può incidere sulla libertà religiosa dello studente o della famiglia: la scelta di seguire l’ora di religione potrebbe essere pesantemente condizionata dall’assenza di alternative formative, perché tale assenza va, sia pure indirettamente a incidere su un altro valore costituzionale, che è il diritto all’istruzione sancito dall’art. 34 Cost.” Un chiaro monito per i Ministero perché, come costata anche il Consiglio di Stato, “in molte scuole gli insegnamenti alternativi all’ora di religione non sono attivati, lasciando così agli studenti che non intendono avvalersi come unica alternativa quella di non svolgere alcuna attività didattica”. Quale sarà la risposta del Ministro? Ottempererà subito alle sollecitazioni del Consiglio di Stato? Giacché, in questi giorni, la Gelmini,non solo non dice dove sono le risorse per attivare le attività alternative decimate dai tagli di Tremonti, ma ha addirittura disposto che i pochi insegnanti di attività alternative che ancora esistono e resistono non possono partecipare ai consigli di classe per la valutazione degli alunni, la risposta sembra negativa. Ma, in questo caso, a nostro avviso, sarebbe disattesa,nella sua interezza, la sentenza del Consiglio di Stato perché persisterebbe una sostanziale discriminazione nei confronti degli alunni e delle famiglie che esercitando il diritto di non avvalersi di un insegnamento confessionale non avrebbero la possibilità di attività alternative, essenziali per garantire la laicità della scuola.
Segnalo l’apertura di una pagina su Facebook per poter protestare contro questa assurdità: http://www.facebook.com/pages/La-religione-cattolica-a-scuola-NON-PUO-fare-media/119884601383902?v=wall